Angelo Pretolani – Performance – Sodoma -Salò A/R

 

Pretolani PPP

CIRCOLARITÀ ESISTENZIALE

testo di Andrea Daffra

Sodoma-Salò A/R (D’altronde Dissegno D’io) è un “itinerario” performativo che accompagna il pubblico in un omaggio a Pier Paolo Pasolini, ed è celebrato nel giorno in cui se ne commemorano la morte, avvenuta il 2 novembre 1975 al Lido di Ostia, e il centenario della nascita, avvenuta il 5 marzo del 1922 a Bologna. 

Riallacciandosi per il titolo al singolare quanto controverso “testamento cinematografico” pasoliniano Salò o le 120 giornate di Sodoma, Angelo Pretolani propone una sottile riflessione sulla circolarità della vita (nascere-morire-rinascere) e sulla “possibilità concettuale” di rievocare temporaneamente l’anima di un defunto attraverso la gestualità immersiva dell’atto performativo. 

Nel viaggio Andata/Ritorno proposto dall’autore, la condicio sine qua non è accettare la finzione quale requisito fondamentale per il raggiungimento della verità: una verità definita apertamente dal progetto in cui la performance si inserisce. Sotto il selciato c’è la spiaggia, un lavoro portato avanti dal 2008 che rimanda allo slogan del maggio sessantottino francese, invita infatti a scavare con tenacia il fronte compromesso della realtà e del noto, per cercare il vero significato del nostro agire e del nostro essere. 

L’atmosfera surreale del neonato matrimonio tra realtà e finzione, di cui i partecipanti sono ora parte integrante, è il preludio tangibile di un’opera che si manifesterà come un rituale simbolico di gesti lenti diluiti nel tempo; assorti in un luogo divenuto inaspettatamente estraneo, irreale e che imbroglia la nostra percezione spazio-temporale, ci ritroviamo a scavare nella dimensione onirica della memoria, della finzione e delle molteplici possibilità: persone e personaggi si confondono, si mescolano in entità sconosciute e confuse. 

D’improvviso l’Angelo appare avanzando lentamente con passo di marcia all’interno della stanza, trattenendo una rosa rossa finta tra le labbra. Con un ritmo di camminata inusuale che amplia il nostro straniamento sensoriale, l’Angelo rallenta, si ferma e inizia a osservare.

L’artista, quindi, indossa un paio di guanti bianchi – espressione cromatica di una delicatezza pura che intende evitare contaminazioni – e si pone in ascolto, fingendo un segno di resa verso il mondo e l’esistente. Ai suoi piedi, su un pavimento tramutatosi repentinamente in un custode silenzioso della tomba di Casarza della Delizia, giace l’immagine della lapide di Pasolini. 

Qualche istante e il passo riprende nella lentezza più assoluta, seguendo un tracciato circolare attorno alla pietra tombale: la scansione ritmica del movimento è accompagnata dall’aspersione del sale, quale simbolo di ricerca della sapienza. 

Ora, rivolto al pubblico isolato e spaesato (condizione a cui spesso conduce Pretolani), l’Angelo appare nella sua completezza come narratore fantastico della storia e lentamente, con gesto immersivo e introspettivo, “entra dentro di sé, nel proprio grembo” per estrarre da una sacca nera appesa al collo un Dissegno tondo (termine volutamente modificato per incontrare le proprie necessità espressive e meditative atemporali) disseminato di minuscoli punti in penna biro sfumati con l’alcool. L’infinito universo di segni puntiformi policromi viene esposto di fronte al viso come specchio in cui specchiarsi e far specchiare. 

L’artista diviene “immagine riflessa” partita dal proprio grembo per donarsi agli altri: concedersi è svuotarsi, è esprimere il proprio essere per lasciare una traccia.

Il Dissegno è posto lentamente sulla tomba, dopo un’elevazione quasi religiosa. 

L’Angelo, a questo punto, si alza e lascia cadere la rosa rossa aprendo la bocca, assegnando al caso la regia della sua caduta: il fiore non gli “appartiene” più, è “perduto”, ma cadendo consente al viaggio di essere concluso. L’Angelo torna uomo e la circolarità dell’andata e del ritorno, dell’esposizione della propria interiorità è compiuta; recita citando Pasolini, “essere immortali e inespressi o esprimersi e morire”. 

Il peregrinare “selvaggio” alla ricerca di un mondo straniero ma autentico, si manifesta come un viaggio in treno compiuto in un tempo remoto, i cui ricordi sfumano nelle campiture cromatiche della memoria, facendosi suono, sapore dolce o amaro e immagine sfumata del passato (il racconto pasoliniano Il treno di Casarsa in Un paese di temporali e di primule edito postumo nel 1993, racconta finemente il viaggio come metafora di spostamento fisico ed esistenziale). 

L’azione è terminata e si è compiuta come si compie la fase del sogno più profondo, ovvero quella da cui assaporiamo ricordi sfumati dal sapore antico e lontano. La dimensione onirica, qualcosa di “niente vero, ma tutto vero, dove tutto è possibile” è concreta, così come la sensazione di aver sognato.